Pietro Orlandi: “Non mi pento per Wojtyla, sapeva la verità. Caso chiuso se Vaticano lo desidera”.

Pietro Orlandi, fratello della scomparsa Emanuela Orlandi nel lontano 1983 a Roma, manifesta ancora ampia reticenza in merito alle dichiarazioni del Vaticano sulla vicenda. In un’intervista concessa a “Verissimo”, Orlandi ha fatto notare come egli non abbia mai concepito il bisogno d’escusarsi per alcuna delle sue dichiarazioni sulle uscite notturne di Giovanni Paolo II, selezionando ogni espressione con scrupolosa attenzione e cautela al fine di evitare qualsivoglia offesa. In conformità al punto di vista di Orlandi, i documenti sulla vicenda sono stati consacrati come falsi, tuttavia il Vaticano non gli ha mai risposto acclarandone la presenza in una cassaforte della Prefettura degli Affari economici lasciando sorgere una profonda perplessità. Orlandi confida nella irreversibilità della verità e nell’inchiesta promossa dai pm d’Oltretevere, ritenendo la stessa capace di portarla alla luce.

Orlandi compara la figura del padre a quella di Giovanni Paolo II, concettualizzando il primo come una personalità positiva in opposizione alla negativa controparte rappresentata dal secondo. Ravvisando nella mancanza di collaborazione del Santo Padre l’apogeo dell’omertà, Orlandi suggerisce come la sua non dichiarazione abbia concesso alla vicenda di sprofondare coltronatamente nelle tenebre dell’oblio. Riteneva altresì che il silenzio dei Papi precedenti, ovvero Benedetto XVI e Francesco, sia durato per anni, ma che adesso abbiano finalmente compreso l’inutilità di tale approccio. Orlandi non si è sottratto alla necessità di indulgere al perdono, mantenendolo fermamente impresso sulla sua titoli e non punta a dimenticare i 40 anni trascorsi a ricostruire la verità.

Secondo Orlandi, plausibile ipotesi potrebbe essere che Emanuela sia stata rinchiusa in una cassaforte da parte della Banda della Magliana con lo scopo di estorcere qualcuno e che Renatino De Pedis sia stato il braccio armato degli sciacalli. Tale possibilità non è stata dismessa e Orlandi continua a sosterne che esso rappresenta la probabilità più concreta di scoprire la verità. Egli guarda con entusiasmo all’inchiesta dei pm d’Oltretevere e crede che con una piccola propensione a dare il meglio di sé, la verità potrebbe essere finalmente raggiunta in tempi estremamente brevi. Il dolore della madre non è stato abbandonato dalla sua memoria e pertanto considera di la massima importanza conseguire la verità in suo onore.

In conclusione, Pietro Orlandi crede fermamente nell’inevitabilità della verità sulla vicenda di Emanuela e respinge con fermezza le scuse del Vaticano. La verità non può essere nascosta per sempre, e l’inchiesta dei pm d’Oltretevere rappresenta l’evento capace di porta alla luce quanto accaduto. Orlandi non ha abbastanza coerenza etica da rimuovere la parola “perdono” dal suo parlato e non dimentica gli anni impegnati nella ricerca della verità. Orlandi sostiene che Emanuela sia stata rinchiusa in una cassaforte dalla Banda della Magliana per ricattare qualcuno e che Renatino De Pedis sia stato utilizzato quale agente esecutivo. Egli accoglie l’inchiesta dei pm d’Oltretevere con entusiasmo e crede fermamente che, con un po’ di sforzo, la verità potrebbe prevalere in breve tempo. La madre non è stata dimenticata e per Orlandi, trovare risposte a tutte le domande è una necessità assoluta.


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