Draghi: Sicurezza Ue in pericolo


Quando si parla di sicurezza europea, ci si trova spesso a confrontarsi con una serie di sfide complesse. Il cambiamento recente nella politica estera del maggiore alleato, in merito alla Russia e la sua invasione dell’Ucraina, ha esacerbato queste preoccupazioni. Ma cosa significa tutto questo per l’Unione Europea? In un momento in cui risuonano echi di vulnerabilità, con uno scenario internazionale dove l’Europa appare più sola, la domanda che chiunque si pone è: chi difenderà i nostri confini?
Uno sguardo rapido sul palcoscenico internazionale, come quello delle Nazioni Unite, rivela un’Europa che appare isolata, mentre cerca chi e come potrebbe supportarla in caso di un’aggressione esterna. Con le promesse di un minore impegno da parte degli Stati Uniti che risuonano ormai da tempo, la sfera dell’autodifesa europea richiede non solo pepate riunioni, ma azioni concrete.
Agli amici dell’Europa, è chiaro che la strada è disseminata di ostacoli economici e istituzionali. Ma anziché perdersi nei labirinti politici, il Vecchio Continente deve rispondere con un vigore rinnovato, ribaltando lo status quo stagnante. La vera sfida? Poter contare maggiormente sulle proprie risorse e competenze. Non è come cercare di costruire un castello di sabbia vicino al bagnasciuga con una marea che sale?
Per molto tempo, i grandi personaggi e le menti strategiche hanno dibattuto sull’economia e sulla difesa come se fossero due pianeti distanti. Tuttavia, il tempo, quel prezioso bene, sembra essere ormai finito. Con l’amministrazione americana che ha già manifestato un ridotto zelo nelle responsabilità internazionali, l’Europa è chiamata a un atto di coraggio, a rompere le catene dell’indecisione e a investire su se stessa come mai prima.
L’auspicio, o forse un’implacabile speranza, è che questi eventi ispirino una nuova energia. Che cosa potrebbe indirizzare questa marea? Beh, la storia di Comuni che hanno trovato un modo per prosperare nonostante gli sconvolgimenti politici non mancano. E non si tratta solo di una questione di mezzi militari, ma di capacità di rispondere alle complessità istituzionali e coltivare infrastrutture più resilienti che frenino i ritardi e rallentamenti nella nostra azione europea.