Saman Abbas, lacrime in aula


Arriva un’altra giornata in tribunale: Shin si presenta al Tribunale di Bologna, sotto scorta della polizia penitenziaria. Con il volto parzialmente coperto dal tradizionale abito musulmano, i suoi occhi tradiscono il dolore con lacrime che minacciano di scendere. La sua testimonianza promette tono emotivo e sarà, senza dubbio, interrotta da pianti e singhiozzi.
Accusata di omicidio, Shin ripete le sue parole ai giudici d’Appello: “Non sono stata io ad uccidere Saman.” La madre della giovane pakistana di diciotto anni, uccisa quattro anni fa nelle campagne emiliane, si trova di fronte a una pesante accusa: quella di essere responsabile, insieme al marito, della morte della figlia. Entrambi sono stati condannati all’ergastolo.
Ricordiamo la fatidica notte del 30 aprile 2021. Le telecamere di sorveglianza avevano catturato Saman allontanarsi con i genitori verso le serre. Secondo le indagini, poche ore dopo sarebbe stata consegnata allo zio, che avrebbe infine compiuto l’omicidio. In tribunale, l’uomo si è visto comminare una pena di 14 anni. Un fatto raccapricciante si è delineato nelle campagne di Novellara, luogo dove il corpo di Saman è stato rinvenuto dopo sei mesi di ricerche.
Oggi, durante il procedimento, anche il padre di Saman, Shabar Abbas, ha rilasciato dichiarazioni spontanee, puntando il dito verso lo zio e i cugini. “Li avevo chiamati per dare una lezione al fidanzato di mia figlia,” testimoniava Shabar, una mossa disperata sotto forma di accusa. “Il giorno dopo, mi dissero di non aver fatto nulla.” La domanda che questa drammatica vicenda pone è: dove si ferma la verità e comincia l’omertà familiare?
Con la prossima udienza fissata per il 4 aprile, la tensione rimane palpabile. Sarà in grado Shin di convincere la giuria della sua innocenza o il peso della prova è troppo ingombrante da sopportare? Questa storia è un promemoria agghiacciante di come le dinamiche familiari possano rapidamente trasformarsi in un gioco pericoloso.